QUANDO IL NOSTRO EGO CI IMPEDISCE DI ESSERE D’AIUTO A QUALCUNO
“Quella persona ha un Ego spropositato”, “è simpatico ma dovrebbe tenere a freno il suo Ego”, “è veramente egoista!”…Hai mai pronunciato o sentito frasi del genere? Immagino di sì, ma a cosa si fa riferimento quando si parla di Ego?
Per Freud è la funzione psichica responsabile della dimensione cosciente e razionale della nostra mente, per Jung invece l’Ego non è al centro ma è parte di una totalità psichica e viene chiamato Sé, tuttavia nell’immaginario comune l’Ego rappresenta la coscienza di sé, la soggettività ma acquisisce, col tempo, una connotazione per lo più negativa divenendo sinonimo di individualismo, egoismo, atteggiamento di chi ritiene valido solo il proprio modo di essere e di giudicare.
Anche se non ci riteniamo delle persone egoiste, spesso, senza saperlo e senza volerlo, ci comportiamo da egocentrici, cioè mettiamo il nostro Ego al centro.
È quello che scrive Justin Bariso nel suo ultimo libro.
Quante volte ti capita di dire a un amico che ti confida un suo stato d’animo “so come ti senti”?
Ecco, quando pronunci questa frase metti al centro il tuo Ego.
Eppure è qualcosa che dici pensando di essere empatico con l’altra persona, cercando di farle capire che anche tu ci sei passato, che anche tu sai cosa vuol dire, che anche tu conosci quel sentimento. Tu, tu, tu: ecco il tuo Ego che prende il sopravvento. Questa semplice frase, detta con le migliori intenzioni, nasconde dunque la volontà di portare in primo piano la tua esperienza, di mettere in evidenza cosa hai provato TU e, nella maggior parte dei casi, anche che soluzione hai trovato TU a quella difficoltà, insomma con quella frase in realtà stai cercando di spostare il focus della conversazione su te stesso.
Il risultato, come puoi immaginare, sarà molto diverso da quello che speravi di ottenere: invece di dimostrare empatia, dimostri poca sensibilità; invece di avvicinare l’altra persona, alzi una barriera e inibisci la sua propensione a confidarsi con te.
Ecco perché quando parlo di Intelligenza Emotiva tendo a sottolineare che è una competenza: perché è tangibile, misurabile e soprattutto si può sviluppare, ad esempio, attraverso una consapevolezza sempre maggiore dei nostri comportamenti, delle nostre azioni e anche delle nostre parole.
Tornando alla nostra frase “so come ti senti”, ora che ne avete maggiore consapevolezza: che effetto può generare sulla persona che in quel momento ci sta aprendo il suo cuore?
Personalmente ho notato che le reazioni possono essere diverse: qualcuno dimostra apertamente il suo disappunto facendoci notare che in realtà non sappiamo proprio come si sente, non lo possiamo immaginare! Altre non dicono nulla, ci lasciano parlare ma poi smettono di raccontarsi, altre ancora ci ringraziano delle nostre parole ma dal loro non verbale si percepisce che non gli siamo stati di grande aiuto.
Il problema è che tutti noi abbiamo bisogno di attenzioni ma, quando incontriamo qualcuno che ne ha più bisogno di noi, il nostro Ego non resiste alla tentazione di mettersi al centro della scena. Ecco che allora pronunciamo frasi che solo in apparenza sembrano rivolte al nostro interlocutore ma che, in realtà, sono dettate dal nostro desiderio inconsapevole di spostare l’attenzione su di noi, su quanto siamo bravi, su come abbiamo trovato la soluzione, sulla bontà dei nostri consigli, non rendendoci conto che così precludiamo all’altro la possibilità di esprimersi liberamente e, nello stesso tempo, precludiamo a noi stessi la possibilità di essere veramente empatici e di fornire un reale supporto emotivo a chi ce lo sta chiedendo.
Spesso ci si trova in difficoltà di fronte a esternazioni emotive importanti, ci sentiamo inadeguati, non troviamo le parole ed è normale che si cerchi di portare la conversazione su un terreno che ci faccia sentire più a nostro agio, quindi di parlare di noi e della nostra esperienza.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, le persone hanno solo bisogno di essere ascoltate da qualcuno che condivida (anche in silenzio) il loro stato d’animo, hanno bisogno di sfogarsi perché solo così possono “mettere fuori” quell’emozione che hanno dentro: possono oggettivarla e relativizzarla.
Come ho detto, spesso noi agiamo con le migliori intenzioni e non siamo consapevoli dell’effetto delle nostre parole, ma ho anche detto che si può imparare.
Dunque per evitare che la conversazione diventi narcisista, ricordiamoci di evitare frasi del tipo “so come ti senti”, “conosco questa sensazione”, “come ti capisco”, “so cosa vuoi dire”, “l’ho provato anch’io”, etc.
Sembrano frasi innocue ma alzano delle barriere che ci impediscono di essere empatici e di aiutare davvero qualcuno che abbiamo a cuore.
Se invece vogliamo rispondere in modo più emotivamente intelligente possiamo semplicemente fare delle domande: le domande ci aiutano a rimanere focalizzati sul nostro interlocutore.
“Come ti senti?”, “hai voglia di raccontarmi?” possono essere domande che dimostrano a chi si sta confidando con voi che siete in ascolto, che state cercando di capire anche se, entrambi, siete consapevoli che comprendere del tutto non è possibile perché essere empatici non significa mettersi nei panni dell’altro (operazione di difficile attuazione), bensì “patire con”, cioè mettersi a disposizione e aiutarlo a portare una parte del peso, se possibile.