PENSARE TROPPO È UNA MALATTIA?

vivi meglio
Persona che si libera dai propri pensieri negativi

Una volta una Cliente mi chiese: “Pensare troppo è una malattia?

E aggiunse: “Spesso, mi ritrovo a vagliare ogni tipo di rischio e pericolo prima di prendere una decisione, ci penso e ci ripenso in continuazione anche in momenti in cui non potrei o non dovrei!

La mia risposta fu che è saggio e responsabile prevedere i rischi, considerare gli inconvenienti e mettere in preventivo gli imprevisti. Ma se questo succedesse per qualsiasi decisione che dobbiamo prendere? 

Spesso pensare troppo non risolve i problemi: li crea.

Prendere una decisione, infatti, porta con sé, inevitabilmente, la paura di sbagliare, la nostra mente inizia a fare proiezioni sul futuro e produce pensieri su pensieri: una vera e propria circolarità viziosa generando uno stato di costante ansia e stress che porta a rimandare o, addirittura a non prenderla mai quella decisione.

Ecco che il pensare troppo non è una malattia ma porta con sé due rischi importanti: il primo è, appunto, l’immobilismo.

Pensare troppo porta a essere vittime di pensieri intrusivi, cioè pensieri che si insinuano nella mente in modo persistente e involontario, causando stress e ansia, e rendendo difficile concentrarsi su altre attività o godersi il momento presente.

Quando si corre il pericolo di cadere vittima di pensieri intrusivi?

Quando, a fronte di fatti accaduti, l’ostinazione quasi ossessiva di andare a scavare ogni dettaglio della situazione vissuta nel tentativo (vano e sterile) di cambiare ciò che non è più possibile cambiare, sposta l’attenzione dal come sono andate le cose, al come sarebbero dovute andare, togliendoci di fatto la possibilità di imparare qualcosa dall’accaduto. 

Anche questo atteggiamento porta con sé il rischio dell’immobilismo: infatti condiziona la fiducia nel futuro orientando il pensiero verso una visione costantemente negativa e catastrofica per cui è meglio stare fermi, non agire.

Questi due atteggiamenti vengono chiamati rimuginio e ruminazione.

In apparenza questi due termini potrebbero sembrare quasi dei sinonimi ma, come cercherò di spiegarvi, sono in realtà due meccanismi utilizzati dal nostro cervello per elaborare o valutare eventi passati o futuri. 

Partiamo da una definizione semantica per inquadrare meglio il termine:

rimuginare significa rimescolare. Traslato in ambito psicologico acquista il significato, non solo metaforico, di rimestare e rivoltare continuamente i propri pensieri e paure. 

Tenendo presente questo significato, cerchiamo di definire a grandi linee che cos’è il rimuginio.

Il rimuginio è un meccanismo tale per cui si identificano delle situazioni considerate incerte o pericolose da cui deriva uno stato di ansia e stress. Il concetto alla base di questa modalità di reazione è la paura.

Il rimuginio è la paura di non poter prevedere con assoluta precisione l’esito di situazioni future.

Questo timore si tramuta in un atto di continuo rimuginare sulla proiezione temuta con l’assoluta convinzione (ahimè errata) di poterla controllare o addirittura evitare.

Ed ecco il secondo rischio del pensare troppo: l’evitamento.

L’evitamento è un termine mutuato dalla psicoanalisi ed enfatizza il rifiuto di affrontare persone o eventi perché inconsciamente associati a stati di dolore o sofferenza. 

Si tratta di una forma di pensiero estremamente analitica e ripetitiva che altro non fa che generare un costante stato di ansia. 

Il rimuginio tende alla ricerca analitica, nel minimo dettaglio, delle possibili conseguenze future di una qualsiasi situazione. Attenzione però, non dico che la valutazione dei pro e dei contro di una decisione non vada fatta o che vada fatta in maniera superficiale o leggera, anzi!

Occorre prendere decisioni in maniera consapevole, accettandone tuttavia le conseguenze che ne deriveranno, positive o negative, ma non necessariamente secondo le nostre aspettative. 

La vita si costruisce, prendendo decisioni, mediante l’azione. 

L’immobilismo non ha mai generato niente: l’atteggiamento giusto è passare da un problema a una soluzione, da un’azione a un’altra e a un’altra ancora, e così via.

Il rimuginio invece è una trappola, una gabbia di non-azione.

Non vado in quell’isola perché ho paura che all’improvviso arrivi uno tsunami;

non faccio il viaggio che sogno da anni perché l‘aereo su cui viaggerò potrebbe precipitare;

sono innamorato, potrei vivere una grande storia di amore, ma poi potremmo lasciarci e dunque potenzialmente potrei soffrire;

non intraprendo un progetto perché le attività e le responsabilità che ricadranno su di me saranno così pressanti che mi ammalerò, eccetera.

Gli esempi potrebbero essere tanti. 

Il punto è che la valutazione consapevole delle proprie decisioni è fondamentale, ma il rimuginio rischia di tramutare quella valutazione in un infinito cruccio fatto di proiezioni sempre nefaste. 

Se ci si accorge di essere in una situazione di stallo e di non procedere verso i propri obiettivi professionali o di vita, allora è meglio ricorrere all’aiuto di un professionista. Chiedere aiuto non è sintomo di debolezza, ma di consapevolezza e responsabilità.

Spesso quando ci troviamo dentro il problema, non riusciamo a vedere vie d’uscita o soluzioni diverse, non perché non ne siamo capaci, ma in quel momento non abbiamo la lucidità e il distacco emotivo per farlo.

Ecco che il coaching può essere un’opzione valida per uscire da una situazione di stasi, riconoscere i propri pensieri intrusivi e sostituirli con pensieri più produttivi.

La ruminazione è la ricerca costante delle cause del proprio stato d’animo

Con la ruminazione spesso e volentieri si immagina una situazione diversa da quella che si è verificata nella realtà, si cerca sollievo nel pensare come sarebbero andate le cose se ci fossimo comportati diversamente.

Si vive come sospesi in un tempo passato che vorremmo cambiare e che cambiamo nella nostra mente solo per assaporare un esito che tuttavia non è mai stato raggiunto. 

Mentre con il rimuginio l’attenzione era posta sulla paura dell’ignoto, con la ruminazione invece si pone l’accento sulle proprie sensazioni, sui propri pensieri, su come questi si manifestano anche a livello fisico. 

Quando si rumina si procede a un atto di retrospezione per ricostruire una realtà passata, diversamente dal rimuginio che è invece una proiezione un po’ distorta della realtà futura. Anche in questo caso sono presenti l’esasperata analisi e la ripetitività.

Tuttavia, in questo caso si cerca di capire che cosa ha provocato ciò che stiamo vivendo. Si indaga nel minimo dettaglio azioni, parole, gesti, che hanno portato a una situazione di malessere che ci attanaglia. 

Si vive immersi nel passato e si vive nel desiderio costante di cambiare quello che è successo perdendo completamente la lucidità e la capacità di reagire, di prendere nuove decisioni e di fare spazio a nuove esperienze.

Dunque, anche la ruminazione è una trappola, infatti nasconde, in realtà, dei messaggi di autosabotaggio, per cui esperienze passate spiacevoli e associate al dolore convincono dell’incapacità di compiere determinate azioni o di rapportarsi con gli altri o ancora di intraprendere un qualsiasi progetto o iniziativa. 

Questo atteggiamento è legato alla parte più primitiva del nostro cervello, ovvero, il tronco encefalico, associato all’istinto di sopravvivenza.                                                                                                              La ruminazione e il rimuginio sono dei meccanismi di sopravvivenza, i quali, tuttavia, più che a un pericolo vero e proprio si riferiscono a costruzioni puramente mentali in cui la paura prende il sopravvento. 

Come gestire i pensieri intrusivi?

Un modo è proprio quello di sviluppare la capacità di distinguere tra l’istinto di sopravvivenza, ovvero quello che si attiva di fronte a una situazione di vero e proprio pericolo per la propria incolumità, e l’autosabotaggio, ossia un sistema di credenze e comportamenti che altro non fanno che limitare ogni capacità di decisione e intraprendenza.

Praticare la mindfulness può essere di grande aiuto se ci sentiamo vittime dei nostri pensieri, se abbiamo pensieri ricorrenti che affollano la nostra mente e si affacciano alla nostra attenzione anche quando non dovrebbero e quando non vogliamo.

La mindfulness ci allena a stare nel presente e ci allena ad assumere un atteggiamento di accettazione benevola per ogni pensiero, senza fare particolari sforzi per modificarlo, gestirlo, combatterlo, scacciarlo. Ecco che questi pensieri inizieranno a diventare quello che in realtà sono: eventi mentali passeggeri.

I nostri pensieri sono transitori, non permanenti: sono come nuvole che hanno il diritto di andare e venire nel cielo ma che non lo affollano e non lo rendono un cielo perennemente perturbato.

Praticare la mindfulness permette di prendere le distanze anche da tutti quei pensieri negativi e dolorosi che ci sembrano ingestibili e incontrollabili e, di fatto può aiutare a uscire dalla trappola della ruminazione e del rimuginio.

Dunque, pensare troppo non è una malattia, ma una forma di autosabotaggio che può essere affrontata con diverse strategie. Tra queste, la gestione dello stress attraverso tecniche di rilassamento come la meditazione e il respiro consapevole, la pratica della mindfulness per vivere il presente senza giudizio. Inoltre, può essere utile parlare con un professionista per sviluppare un piano personalizzato e imparare tecniche cognitive per interrompere i cicli di pensiero ricorrente.

 

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Adriana Paolini

La mia missione è quella di aiutarti a diventare la persona che vuoi realmente essere liberandoti da stati di stress e frustrazione attraverso l’apprendimento di strategie efficaci, basate sulle neuroscienze, che ti aiuteranno a recuperare lucidità mentale e ti permetteranno di prendere decisioni migliori sulla vita

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